Mi piacciono i libri che danno un motivo per riflettere, che ti toccano il cuore e che diventano, in un modo o nell’altro, parte di te.
Cercando Alaska rientra nella rosa di quelli, che negli ultimi anni, mi hanno toccato davvero.
Un buon libro deve smuoverti, deve colpirti. E questo lo ha fatto.
Non sono brava a scrivere recensioni, quindi questa non ne sarà una, ma solo una semplice riflessione fatta a modo mio e ripeto, se non avete letto il libro -cosa che io consiglio di fare- non andate avanti nella lettura.
Ho adorato fin dal principio la figura di Alaska.
È una ragazza dalle mille sfaccettature che non si riesce ad inquadrare mai alla perfezione. La sua stessa descrizione manca di qualcosa tant’è che io, da lettrice, non sapendomela immaginare ho pescato, inconsapevolmente, dalla mente la protagonista di un telefilm e le ho dato il nome Alaska. Me ne sono accorta dopo. Rivedendo quel personaggio mi sono chiesta “Ma dov’è che l’ho vista ultimamente?” e mi sono risposta “Ah sì, lei è la mia Alaska!”, ovviamente diversa nell’aspetto fisico, dalla poca descrizione che ne fa l’autore. Ma questo, quando consideriamo Alaska, non ha importanza.
A mio parere, diventa la protagonista indiscussa del libro, colei che guida le vicende di tutti gli altri personaggi, anche di Miles (Ciccio per gli amici), il personaggio principale, andato alla Culver Creek per cercare/trovare il suo Grande Forse, e che si ritrova poi a Cercare Alaska, forse il suo Grande Forse.
Alaska e la sua personalità semi nascosta che esce solo a tratti, solo quando lei vuole, con le parole che sceglie, con le sue mezze verità e con i suoi silenzi. Nessuna la conosce a fondo ed è proprio questo ciò che mette in crisi il gruppo, quando lei va via. Ci sono le mille domande, i mille dubbi, i continui sensi di colpa. Quel che è successo è stato solo per via del caso, della sfortuna, del destino? O la sua è stata una decisione consapevole?
Dritto e Veloce
È così che Alaska va via, dritta e veloce, così com’è entrata nella vita di Ciccio e come ha vissuto, al fianco dei suoi amici. Senza mezzi termini, sempre veloce o al contrario totalmente chiusa in se stessa, quando decideva di non rispondere alle domande che iniziavano per “Come, Quando, Dove, Cosa e Perché”
O sta bene o sta male Alaska, o è dolce e sorridente o una perfetta acida. Cerca solo di uscire dal suo Labirinto di Tristezza in cui è stata imprigionata il giorno più brutto della sua vita e quando sembra che tutto sia perduto, lei va via, lasciando il resto del gruppo.
“Come farò ad uscire da questo labirinto?” Questa è una delle frasi, presa in prestito da Simòn Bolìvar, con cui si presenta Alaska e che sarà riproposta in diversi momenti all’interno del libro.
Il romanzo ha un prima e un dopo -di cui ho parlato anch’io, prima di leggere questo libro, forse è anche per questo che lo trovo molto vicino al mio spirito-.
Il prima e il dopo di un evento pilastro che cambia le vite di ognuno di noi o per lo meno di chi vive quell’evento. Nel romanzo è Alaska, in primis, a pagarne le conseguenze. Lei che vive nel prima, in prima persona e nel dopo, quando i suoi amici continuano a cercarla. Poi ci sono le vite degli altri, di chi rimane. Il prima, quando la vita è scandita dallo studio, dalle lezioni, dalle bevute, dal fumare insieme e dalle bravate, il dopo, quando tutto si incentra nel ricordo della ragazza, in quella vana speranza di capirla un po’ di più ora che è troppo tardi, nella ricerca di lei nel ripercorrere i giorni trascorsi insieme, nella continua corsa mentale per tenerla stretta a sé, nelle interminabili domande e nei sensi di colpa “Se non le avessimo permesso di…” “Se l’avessimo fermata…”
Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte, non si cambia il mondo, non si cambia il passato. La realtà diventa evidente. Si devono aprire gli occhi e si deve fare i conti con quello che si ha di fronte. È questo quello che devono accettare Ciccio, il Colonnello, Takumi e Lara. È questo ciò che tutti devono accettare. Alaska è andata via nel buio di quella notte, senza fermarsi, senza voltarsi indietro. La continueranno a cercare per tutta la vita forse -o chissà un giorno smetteranno- nei ricordi che si fanno via via più lievi e nel dolore che, di volta in volta, viene condiviso ma non del tutto accettato.
Ciccio scrive che Alaska era più della somma delle sue parti. Sono d’accordo, ognuno di noi lo è. Lo scritto finale di Miles è ciò che fa più riflettere. “C’è dell’altro” scrive “Qualcosa di completamente altro. Una parte di lei più grande della somma delle parti di lei che conosciamo. E quella parte deve essere in qualche posto perché non si può distruggere.”
Credo non ci sia molto da aggiungere dopo questa frase se non la condivisione delle ultime righe del romanzo che riportano le ultime parole di Edison “Com’è bello laggiù.” e la frase di Miles “Non so dove sia quel laggiù, ma io credo che da qualche parte esista e spero sia bello.”
Perché a volte abbiamo solo bisogno di crederci.
Cercando Alaska è un libro che rimane nel cuore, in cui ognuno di noi, se ha provato in minima parte ciò che hanno provato Ciccio, il Colonnello, Takumi e anche Lara nel suo piccolo, si può riconoscere e grazie al quale ognuno di noi si può ritrovare nella ricerca di chi non c’è più.
Una sassolina