Libri

Libri…

A volte sono lo specchio della realtà che impari a conoscere meglio, altre diventano il rifugio da una realtà troppo stretta da vivere.

Passo spesso da un libro serio ad uno più soft, per darmi il tempo di metabolizzare ciò che mi è stato presentato e per tornare a respirare, ma anche i libri leggeri possono portare con sé qualche trascico della mia esistenza.

Respirare: come si fa, quando il personaggio principale soffre di attacchi di panico, che conosci fin troppo bene? Diventa quasi impossibile. E quando invece sei in disaccordo con molte delle sue scelte? Forse il problema principale è che quelle scelte che si leggono e con cui si è tanto in disaccordo rispecchaino il tuo modo di fare.

Quante volte ci si pone di fronte ad un personaggio in maniera razionale e distaccata, cosa che non facciamo con la nostra vita! Sai che quello che sta facendo la protagonista è sbagliato, sai che lei è la protagonista e che si sta abbattendo per un non nulla, che si sta facendo delle paranoie inutili, che sta facendo delle scelte che non capisci, ma ad un tratto è chiaro: ti accanisci tanto contro di lei, sbuffi e le gridi contro “Ma sei idiota?” perché è più semplice farlo rivolta ad un libro, a qualcuno che nella realtà non esiste, ma che in fondo conosci molto bene. Sei tu per certi versi e tu, come lei, nelle stesse situazioni sbaglieresti, non guardando tutto l’insieme in maniera distaccata e neutrale, ma da dentro, dove è impossibile essere razionali. Così ti affidi a persone che non conosci del tutto, che ti farebbero del male alla prima occasione pur di salvaguardarsi, scambi alcuni sguardi per sguardi di affetto, o al contrario le preoccupazioni e le parole di altri le fraintendi, ferita in un orgoglio che nemmeno tu conosci.

Ti trascini tra la realtà e la fantasia, con mille domande in testa a cui non sai rispondere. Allora ti dici “Magari riuscissi a vedermi come mi vede lui!”

Magari riuscissi a vedermi realmente e non attraverso una corazza di paura che mi blocca l’esistenza…

Una sassolina

Fare non fare

Ho comprato un libro che è stato, per una settimana, pazientemente ad aspettare che arrivasse il suo turno.
Mi sono tagliata i capelli.
Sono uscita per conto mio come facevo un tempo.
Stamattina sono addirittura passata da KIKO a comprare una nuova matita per gli occhi e le salviette struccanti.
Sono entrata in alucni negozi, propositiva per lo shopping, ma alla fine qualsiasi cosa mi faceva letteralmente schifo.
Sono tornata a casa e ho aperto il libro che mi stava di nuovo ad aspettare, dopo averlo lasciato alle due e mezza di notte, in un punto cruciale e mi sono reimmersa in un mondo diverso dal mio.
Nonostante tutto ciò, sono qui che scrivo.
Quando le persone si trovano in una condizione moralmente bassa fanno queste cose ma per me non funziona.
Cosa dovrei fare?
Forse una lista di cose da fare.
Ma cosa?
Ieri ho comprato anche dei pennelli per disegnare, sì, per disegnare a matita perché ho notato che le sfumature vengono meglio, ma poi, tornata a casa, non ho avuto voglia nemmeno di aprire il mio album da disegno.
Ieri pomeriggio, per strada, mi è balenata l’idea della mia situazione: è come se fossi in una continua attesa di qualcosa che non succederà mai.
Penso e ripenso. A volte mi dico “Ce la farò…” ma poi aggiungo “Tra cinque minuti!” Un pò come le diete che si iniziano sempre la prossima settimana.
Sono stanca. Sono stata ferita, non pugnalata. Ma forse chi lo ha fatto aveva ragione. Un sasso non dovrebbe sentire. Io invece sento, continuo a sentire la solitudine che non vorrei, continuo a sentire lo scorrere dell’esistenza che porterà inevitabilmente alla ragione della nostra vita, la morte.
Il significato dell’esistenza è insito nello scorrere del tempo e in quello che tutti cerchiamo di evitare, nell’unica cosa che invece nessuno potrà mai evitare. E allora a che scopo? Per vivere, per vivere al meglio la nostra esistenza che prima o poi finirà. Ma come si fa a farlo al meglio?
Mi metterei in stand by e lascerei scorrere il tempo.
Se mi guardo indietro so che le cose cambieranno o per lo meno, questi stati emotivi passano, sono sempre passati. L’ho vissuto altre volte, ma sono impaziente e questa perenne ansia mi butta di nuovo giù.

Una sassolina

Passa da me e ti dirò com’è!

Non è affatto semplice.

Ormai ho più di trent’anni e sai quanto può essere difficile quando tutto intorno a te è come se andasse al contrario? Non riuscirò a spiegarmi, già lo so. In questo momento nella mia testa c’è molta confusione, ma farò un esempio. Hai sentito parlare del Fertility day? Hai sentito tutta l’indignazione che ha creato? Beh, le mie amiche si saranno indignate, loro più di tutte, eppure fanno una campagna del genere ogni giorno. Non se ne accorgono ma la fanno. La fanno quando mi raccontano della loro nuova convivenza, del loro matrimonio, dei loro bambini, del loro orologio biologico. E no, non parlano per condividere la loro felicità, o almeno non solo, dietro c’è qualcos’altro, c’è una domanda che non viene detta ma che viene sottolineata più e più volte “E tu, quando ti deciderai?”

L’altro giorno mi è capitata una cosa assurda. Io e le mie amiche abbiamo un gruppo Whatsapp. Sembra che dopo una certa età, soprattutto se qualcuno del gruppo ha dei figli non ci si possa esimere dal parlare di loro, anzi, si deve parlare solo di loro.
“Quanto è bello!”
“Allora come sta? E tu?”
“Come va, tutto bene? Allatti? Il bambino piange? Dormi? Dorme?”
“Tuo marito fa il papà? E tu la mamma?”

Santo Dio, ma che succede? Io queste conversazioni le odio. Le conversazioni dell’ovvio e delle moine!  Io non faccio le moine ai miei nipoti, figuriamoci ad altri bambini, ma sembra che le persone si divertano a fare gli stupidi davanti a dei piccoli esseri umani, che magari potranno anche pensare “Ma che vuole ‘sta scema?”.
A volte mi chiedo se io sia normale. L’altro giorno mi sono posta seriamente il problema. Poi però è arrivato un messaggio sul gruppo: “E i vostri bimbi?”

Non ci potevo credere…  I VOSTRI BIMBI?

Sono rimasta senza parole, ho riletto quel messaggio e ho poggiato il telefono.

I VOSTRI BIMBI?

E l’anormale sono io?

Sono stata stupida a non fare delle foto artistiche ai miei piccoli (cane e gatto), inviarle e iniziare a sproloquiare di quanto sono dolci, carini e affettuosi, di cosa mangiano e non mangiano, di come fanno i loro bisognino e quanto sono amorevoli quando dormono, ma
1. non avrebbero capito quello che avrei voluto dire
2. avrebbero pensato “Oh poverina, è gelosa”

Ma no, non sono gelosa, sono solo arrabbiata perché sembra che se a più di trent’anni non sei andata a convivere, non ti sei spostata e non hai avuto figli sei una fallita. Quando in realtà state cercando solo di fare un passo alla volta -tu eil tuo ragazzo- e prima vorreste avere un lavoro decente piuttosto che mettere al mondo dei figli e non sapere come crescerli, o sposarvi senza cognizione di causa.

Io ho trascorso l’estate dietro al raggiungimento di un obiettivo e sai cosa mi sono sentita dire quando alla fine non sono stata soddisfata? “Dai, non ci pensare!”
Ok, ho raggiunto l’obiettivo è vero, quindi è solo la mia soddisfazione personale ad essere lesa perché avrei voluto avere un risultato quasi perfetto come piace a me, ma “Dai non ci pensare!”? Ovvio, nessuna delle mie amiche si è preoccupata di chiedermi quanto ci tenessi a fare bene. L’obiettivo non era né un figlio né un matrimonio, ma solo una realizzazione personale e professionale, quindi praticamente il nulla.

Quest’estate non sono uscita spesso e quando l’ho fatto speravo di potermi sfogare con una di loro e parlare di quello che stavo facendo. Ogni sera invece mi ritrovavo ad ascoltare il racconto della sua storia, della sua prossima convivenza, del matrimonio di quell’altra o dei bimbi dell’altra ancora. Sono stanca.

A volte mi chiedo se un giorno troverò mai il mio posto, con delle persone che mi possano capire. Sono rimasta da sola, ormai. Io non voglio essere il tipo di ragazza che rimane a vivere una vita sola con il suo ragazzo, a me piacerebbe condividere ma alla fine mi ritrovo solo con lui, perché per gli altri io ormai non esisto più, se mai sia mai esistita.

Una sassolina

Cos’è la Normalità

Ci sono cose che semplicemente non potrò più fare a cuor leggero.

Non potrò decidere più, ad esempio, di fare una dieta. Non senza far preoccupare le persone che mi vogliono bene. Ci pensavo ieri, mentre una mia amica mi raccontava i progressi e i benefici che sta riscontrando con il suo nuovo regime alimentare, me ne accorgo anche quando leggo di persone che vanno in palestra e si esercitano. Mi ritrovo ad invidiare quelle persone. Se lo facessi io forse farei preoccupare le persone che mi stanno vicino e allora mi nascondo. La mattina mi chiudo in bagno e faccio gli addominali, non sempre, quando ne ho voglia. È questo che è cambiato, la voglia. Non faccio più determinate cose per dovere morale ma per voglia, eppure non tutti lo capirebbero.

In questi anni ho fatto caso a tutti gli sguardi, questa cosa non è mai cambiata. Io noto le sfumature, noto quando qualcuno guarda il mio piatto con silente preoccupazione o con disapprovazione. Ma mi chiedo: perché quando una persona sta male e gli si chiude lo stomaco va bene, quando la stessa cosa succede a me, io devo sforzarmi per evitarla? A volte mi dico che non è giusto. Io ho seguito un determinato percorso per tornare a comportarmi da persona normale ma mi sembra che questo tipo di normalità io non la possa avere. Le persone normali decidono di fare delle diete, decidono di fare attività fisica, decidono di saltare i pasti perché si sentono gonfie o perché sono tristi o altro e invece io… io sembra che non possa più permettermelo.

Una sassolina

Delusione

La rabbia è il sentimento più forte e la delusione è l’emozione più subdola.

Quante volte sei rimasto deluso da qualcosa o da qualcuno?
Io tantissime e ancora non riesco ad affrontare questa emozione in maniera sana. Mi stringe lo stomaco e me lo riduce in poltiglia, prende le mie forze e le frantuma mentre a me sembra di diventare un fantasma, uno spettro tanto invisibile da non meritare nulla.

Ma io sono fortunata, perché accanto alla delusione, ne ho conosciuto anche l’assenza.

Puoi dire di aver conosciuto qualcuno che non ti ha mai, e dico mai, deluso?
Io si.

Ieri sera, mentre ascoltavo il mio nuovo amore musicale e stringevo il mio vecchio diario sono arrivata a questa conclusione. Riconosco ogni tipo di delusione, personale o data dagli altri. Fa sempre male, soprattutto quando sono alcune persone che ti deludono, ma io ho conosciuto anche persone così belle da non avermi mai deluso, anzi, che mi hanno regalato momenti di esistenza pura. E allora avevo voglia di piangere ma anche di alzarmi e mettermi a saltare sul letto a notte fonda.

Ero felice.

Confusione

Vivere oggi è davvero difficile!
Non si sa come sei, non si sa cosa pensi e cosa vuoi, non si sa nemmeno se stai vivendo o facendo solo finta.
Dopo le ultime notizie, dopo gli avvenimenti degli ultimi anni, che poi magari fossero solo degli ultimi anni, viene messo in dubbio anche il senso di responsabilità che si ha verso il proprio punto di vista: Non sai più se stai vivendo o facendo solo finta.

Fino a qualche tempo fa avrei detto che stavo facendo finta eppure mi sembra ovvio che sto vivendo, nel senso fisico della questione, ma c’è qualcosa che non mi torna.
Sono da sempre stata sostenitrice di quella domanda “Ma che senso ha?”
Ora questa domanda si rafforza e prende una visione più ampia. Si allontana dal confine della mia esistenza personale per abbracciare l’Esistenza Umana.
Io non ne capisco niente e c’è una parte di me che ovviamente sta lì a bacchettarmi, perché vede che tutti ormai sanno tutto di tutto e anche questo mi spaventa. Si apre la bocca e si fa uscire il primo pensiero convinto, sarcastico o di odio, ma mai che si parli di amore.
Anche i social network ormai mi danno la nausea anche se continuo a sgambettarci dentro. Sembra che si faccia a gara a chi critica maggiormente l’altro, a chi condivide più frasi di sfida, a chi si lamenta di più.
Anch’io mi lamento e questa ne è la controprova e forse sono una codarda perché mi metto dall’altra parte dello schermo, dietro un nickname e non ci metto la faccia.
Forse è questo il senso del mio far finta di vivere.
Io parlo poco o, quando parlo tanto, lo faccio con me stessa e con chi veramente voglio che mi stia a sentire -ribadisco il concetto di me stessa- anche perché è difficile esprimere dei concetti che sono delle sensazioni.
Vorrei capirci qualcosa, vorrei dare un senso alle idee confuse che si aggrovigliano, formano dei gomitoli compatti e poi rimbalzano nella testa senza alcun senso.
Vorrei mettermi a gridare, a piangere, a sbattere i piedi ma non posso farlo perché sono grande.

Una sassolina

Domande&Risposte… a me stessa

E se da piccola ti avessero chiesto cosa avresti voluto fare da grande cosa avresti risposto?
– Probabilmente l’archeologa, mi ero affezionata alle fantastiche avventure di Indiana Jones! Poi, crescendo le cose cambiano…

Quando? In che senso?
– Credo che a 15 anni abbia iniziato a sperare di poter diventare la protagonista di un manga e forse, nemmeno molto in fondo, credo di volerlo ancora, a distanza di altri 15 anni. Forse, in un certo senso, lo sono diventata. Mi piace pensare che ognuno di noi sia il protagonista della propria storia. All’epoca credevo di non esserlo, forse è per questo che speravo di diventarlo. Poi che sia un manga o la semplice storia di una ragazza che diventa donna, beh questo non ha molta importanza. In fondo dipende dai propri punti di vista e a me a volte piace pensare di essere dentro una storia dai colori pastello.

Una sassolina

 

Riflessioni su Cercando Alaska (non consigliato a chi non ha ancora letto il libro…)

Mi piacciono i libri che danno un motivo per riflettere, che ti toccano il cuore e che diventano, in un modo o nell’altro, parte di te.
Cercando Alaska rientra nella rosa di quelli, che negli ultimi anni, mi hanno toccato davvero.
Un buon libro deve smuoverti, deve colpirti. E questo lo ha fatto.
Non sono brava a scrivere recensioni, quindi questa non ne sarà una, ma solo una semplice riflessione fatta a modo mio e ripeto, se non avete letto il libro -cosa che io consiglio di fare- non andate avanti nella lettura.

Ho adorato fin dal principio la figura di Alaska.
È una ragazza dalle mille sfaccettature che non si riesce ad inquadrare mai alla perfezione. La sua stessa descrizione manca di qualcosa tant’è che io, da lettrice, non sapendomela immaginare ho pescato, inconsapevolmente, dalla mente la protagonista di un telefilm e le ho dato il nome Alaska. Me ne sono accorta dopo. Rivedendo quel personaggio mi sono chiesta “Ma dov’è che l’ho vista ultimamente?” e mi sono risposta “Ah sì, lei è la mia Alaska!”, ovviamente diversa nell’aspetto fisico, dalla poca descrizione che ne fa l’autore. Ma questo, quando consideriamo Alaska, non ha importanza.
A mio parere, diventa la protagonista indiscussa del libro, colei che guida le vicende di tutti gli altri personaggi, anche di Miles (Ciccio per gli amici), il personaggio principale, andato alla Culver Creek per cercare/trovare il suo Grande Forse, e che si ritrova poi a Cercare Alaska, forse il suo Grande Forse.
Alaska e la sua personalità semi nascosta che esce solo a tratti, solo quando lei vuole, con le parole che sceglie, con le sue mezze verità e con i suoi silenzi. Nessuna la conosce a fondo ed è proprio questo ciò che mette in crisi il gruppo, quando lei va via. Ci sono le mille domande, i mille dubbi, i continui sensi di colpa. Quel che è successo è stato solo per via del caso, della sfortuna, del destino? O la sua è stata una decisione consapevole?
Dritto e Veloce
È così che Alaska va via, dritta e veloce, così com’è entrata nella vita di Ciccio e come ha vissuto, al fianco dei suoi amici. Senza mezzi termini, sempre veloce o al contrario totalmente chiusa in se stessa, quando decideva di non rispondere alle domande che iniziavano per “Come, Quando, Dove, Cosa e Perché”
O sta bene o sta male Alaska, o è dolce e sorridente o una perfetta acida. Cerca solo di uscire dal suo Labirinto di Tristezza in cui è stata imprigionata il giorno più brutto della sua vita e quando sembra che tutto sia perduto, lei va via, lasciando il resto del gruppo.
“Come farò ad uscire da questo labirinto?” Questa è una delle frasi, presa in prestito da Simòn Bolìvar, con cui si presenta Alaska e che sarà riproposta in diversi momenti all’interno del libro.

Il romanzo ha un prima e un dopo -di cui ho parlato anch’io, prima di leggere questo libro, forse è anche per questo che lo trovo molto vicino al mio spirito-.
Il prima e il dopo di un evento pilastro che cambia le vite di ognuno di noi o per lo meno di chi vive quell’evento. Nel romanzo è Alaska, in primis, a pagarne le conseguenze. Lei che vive nel prima, in prima persona e nel dopo, quando i suoi amici continuano a cercarla. Poi ci sono le vite degli altri, di chi rimane. Il prima, quando la vita è scandita dallo studio, dalle lezioni, dalle bevute, dal fumare insieme e dalle bravate, il dopo, quando tutto si incentra nel ricordo della ragazza, in quella vana speranza di capirla un po’ di più ora che è troppo tardi, nella ricerca di lei nel ripercorrere i giorni trascorsi insieme, nella continua corsa mentale per tenerla stretta a sé, nelle interminabili domande e nei sensi di colpa “Se non le avessimo permesso di…” “Se l’avessimo fermata…”
Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte, non si cambia il mondo, non si cambia il passato. La realtà diventa evidente. Si devono aprire gli occhi e si deve fare i conti con quello che si ha di fronte. È questo quello che devono accettare Ciccio, il Colonnello, Takumi e Lara. È questo ciò che tutti devono accettare. Alaska è andata via nel buio di quella notte, senza fermarsi, senza voltarsi indietro. La continueranno a cercare per tutta la vita forse -o chissà un giorno smetteranno- nei ricordi che si fanno via via più lievi e nel dolore che, di volta in volta, viene condiviso ma non del tutto accettato.

Ciccio scrive che Alaska era più della somma delle sue parti. Sono d’accordo, ognuno di noi lo è. Lo scritto finale di Miles è ciò che fa più riflettere. “C’è dell’altro” scrive “Qualcosa di completamente altro. Una parte di lei più grande della somma delle parti di lei che conosciamo. E quella parte deve essere in qualche posto perché non si può distruggere.”
Credo non ci sia molto da aggiungere dopo questa frase se non la condivisione delle ultime righe del romanzo che riportano le ultime parole di Edison “Com’è bello laggiù.” e la frase di Miles “Non so dove sia quel laggiù, ma io credo che da qualche parte esista e spero sia bello.”
Perché a volte abbiamo solo bisogno di crederci.

Cercando Alaska è un libro che rimane nel cuore, in cui ognuno di noi, se ha provato in minima parte ciò che hanno provato Ciccio, il Colonnello, Takumi e anche Lara nel suo piccolo, si può riconoscere e grazie al quale ognuno di noi si può ritrovare nella ricerca di chi non c’è più.

Una sassolina