L’abbraccio

«La vedi?»
«Cosa?»
«Chi vorrai dire…»
«Chi?»
«Quella ragazza… era da un pò che non veniva»
«Nero, non dire sciocchezze, di cosa stai parlando?»
«Dai, di quella ragazza! Da quando non si risedeva lì?»
«Tu dici che è lei?»
«Certo, non la riconosci? Stesso sguardo fisso al mare, stessa protezione, la musica e quel qualcosa di impenetrabile che la scherma dal mondo…»
«A me sembra diversa…»
«Bianco, anche noi siamo diversi… cambiamo di giorno in giorno eppure siamo sempre gli stessi. Quanto vento ci è venuto addosso? Quanti passi abbiamo raccolto? Quante volte siamo stati buttati in mare e poi ricacciati dalle onde?»

«Ehi….»
La ragazza si voltò, mise a fuoco per dare un volto alla voce che l’aveva chiamata anche se l’avrebbe riconosciuta tra mille.
«Ehi»… ricambiò il saluto.
«Che ci fai qui?»
«Una passeggiata»
«Tutt’altro direi» e la indicò seduta sulle pietre della spiaggia.
Lei Sorrise: lui aveva quel modo di mettere i puntini sulle i che nessuno aveva, quel modo di fare e di dire che in qualche modo la scopriva e la ricopriva con una copertina più soffice.
«Sei tornata…» continuò lui
«Si»
C’era qualcosa in quella risposta, un tono amaro che avrebbe voluto nascondere ma che non riusciva a tenere per sé, non in quel momento, non davanti alle onde del mare, non davanti a quello spazio infinito che abbracciava l’universo, fino al suo piccolo mondo.
«Come va l’università?»
Eccola la domanda scomoda, quella riguardante l’università, la sua vita attaccata ai libri che le rendeva impossibile chiudere gli occhi serenamente senza farsi domande sull’esistenza e l’Essere finito.
«Normale sempre la stessa risposta «Tu? Come vanno le cose?»
«Idem…» 
Sempre poche parole… poche parole e un sorriso… una sigaretta accesa tra le dita e tutto quello che si potrebbe chiedere al mondo: una pausa con una delle persone preferite.
Senza chiedere permesso lui si sedette affianco a lei e prese un auricolare
«Che ascolti?» 
Fece una smorfia: «Provo a indovinare: il cd dal colore imbarazzante!»
«Finiscila!»
Mel si riprese l’auricolare e tolse la musica, arrossendo un po’: quel cd li legava. Lui era riuscito a calmarla un po’ l’ultima volta, facendo partire proprio quel disco. Era stata una delle giornate in cui gli aveva fatto vedere il peggio di sé, ma anche quella in cui aveva scelto di dargli fiducia. 
Si sorrisero di nuovo e tornarono entrambi a guardare il mare, le onde che andavano e venivano, in un perpetuo moto oscillatorio che le intrappolavano, senza mai spiccare il volo e fuggire.
«Sai, l’esame che dovevo dare, alla fine non l’ho fatto. Per la prima volta non mi sono nemmeno seduta» iniziò a raccontare lei. Lui la guardò senza dire o chiedere niente, aspettando che fosse lei a continuare. «A volte mi chiedo perché abbia scelto la facoltà di Chimica! Forse avrei dovuto scegliere Lettere»
«Ti sarebbe piaciuto di più?»
«Non è questo il punto. È che a volte mi rendo conto che non siamo altro che molecole… atomi legati gli uni agli altri e allora mi chiedo che senso ha, che senso hanno tutte queste preoccupazioni, malumori o gioie. A che serve tutto questo?»
Dan rimase ad ascoltare
«Che differenza c’è tra noi due e quei due sassolini lì?» e indicò Nero e Bianco.
«Beh noi…» Dan cercò di trovare delle parole giuste ma era difficile. A volte faceva domande davvero troppo difficili, soprattutto a lui che continuava a cercare risposte dove non si posavano.
«Siamo molecole che hanno bisogno di altre molecole» disse infine, ma si girò subito a prendere una seconda sigaretta.
«Che vuoi dire?»
«Non lo so nemmeno io in realtà, ma credo che anche loro – e indicò i sassolini – abbiano bisogno di altre molecole per andare avanti in un certo senso, tu che ne dici? L’esperta in questo campo sei tu» 
Mel non disse nulla. 
«Però non lo so. Forse vorrei solo credere che non sia tutto così privo di senso» concluse Dan, abbassando lo sguardo.
Mel percepì il cambio di espressione: gli occhi sorridenti erano diventati d’un tratto morbidi e un po’ distanti.
«Scusa» disse allora.
Lui la guardò esterrefatto e non poté fare a meno di sorridere. Lei si scusava sempre, anche quando non sapeva quello che gli passava per la testa, anche quando non c’era nulla di cui scusarsi perché lì, in quel momento, mentre una parte del suo cuore stava di nuovo cadendo giù, lei era l’unica cosa che lo riusciva a tenere a galla quel cuore. Avrebbe voluto dirle così tante cose ma di nuovo rimase in silenzio. Prima o poi ci sarebbe riuscito ma le onde del mare erano davvero troppo calme, i colori del cielo avevano l’essenza della voce di Brian Molko, passando da un azzurro scuro al rosa candido che si scontra con le sfumature di un sole lieve. Era tutto troppo perfetto e anche se loro erano l’imperfezione di un quadro ancora da finire, Dan non aveva ancora il coraggio di dirle quanto quel giorno era così importante per lui e farsi cadere nel baratro. Era troppa la paura di non essere capito. Troppa la paura di demolire quel piccolo granello di pace che era sempre sul punto di essere spazzato via. E lui era un maestro nel demolire la sua pace. Quanto era stato salvifico invece vederla lì, su quella spiaggia. Imbronciata, è vero, ma subito di nuovo vicina. Non aveva saputo darle risposta al suo dilemma eppure non poteva fare a meno di pensare che le loro molecole stavano funzionando meglio insieme. Meglio di molte altre. Le sue da sole avevano fatto mille casini, per non parlare di quelle di lei. Rivide loro stessi, lontani nel tempo e nello spazio, due persone rannicchiate su se stesse, addossate a una parete, con la testa sulle braccia, cercando una via d’uscita, nascondendosi dal mondo. Quindi rimase in silenzio a guardarla negli occhi, senza imbarazzo, mentre lei ricambiava lo sguardo, senza timore, diversamente da come guardava tutto ciò che la circondava.

«A volte mi piacerebbe essere come loro» disse Nero
«Siamo già come loro… molecole…»
«E invece no… guardali, loro possono abbracciarsi»
«Ma cosa dici?»
«Anche se non lo sono realmente, sono stretti in un abbraccio più profondo. Si stanno rincollando a vicenda e forse nemmeno se ne rendono conto.»

«Mel…»
In un attimo si ridestò dai ricordi, dai pensieri
«Si?»
«Forse dovremmo andare.» 
«Si, hai ragione»
Ma rimasero immobili, si sorrisero di nuovo e continuarono a guardare il mare, mentre Nero e Bianco di fronte a loro li guardavano, cullati dal suono delle onde che prima o poi sarebbero tornate, implacabili, a prenderli di nuovo tra le loro braccia, in un ciclo perpetuo.

Pensieri vorticosi

Le sento le obiezioni, le sento… anche il mio cervello obietta e mi dice “quindi che vuoi fare? Ti lamenti e basta?” volendo sarebbe un’idea, ma no. Io vorrei fare qualcosa ma non so cosa. In realtà se penso al Mondo e al Modo in cui vivo, perennemente insoddisfatta, l’unica cosa che mi viene da fare e che da un po’ faccio è piangere. Io la sento la mia crisi esistenziale e per una volta sto cedendo. E lo ammetto: non sono onnipotente, non sono nemmeno micropotente, la mia parola vale meno di zero (guarda il lavoro) e mi sono stancata di resistere. Allora piango, perché ho accumulato roba che sta sullo stomaco ormai da anni. Il paradosso è che per anni comunque mi sono lamentata, ho combattuto con ogni mio mezzo per qualcosa che nemmeno riuscivo a capire, ho combattuto me stessa perché io all’Onnipotenza ci credevo veramente e la volevo, l’onnipotenza di un cervello che credevo fosse l’unico amico rimasto, perché mi permetteva di pensare. Vero, ma allo stesso tempo mi imbrigliava, perché pensare alla fine ti porta a vedere ciò che forse non vuoi vedere.

Se potessi avere una bacchetta magica farei realizzare a tutti gli esseri umani che popolano la terra, quanto siano inutili le ventimila ingiustizie che portiamo avanti, quanto sia inutile quella pretesa di avere sempre ragione, fino ad uccidere perché in contrasto con l’altro, quanto sia inutile quel modo di fare altezzoso solo per farsi vedere /descriversi come il migliore. Il delirio di onnipotenza che pervade l’animo di ogni singolo è devastante. Tanto alla fine, l’unica fine possibile è sempre quella. Abbiamo un tempo limitato e lo sprechiamo a non vivere o nel peggiore dei casi a giocare a Risiko nella realtà.

A volte penso che sarebbe bello fare come dicono alcuni “pensa a te stessa, tu devi pensare prima a te stessa e poi agli altri, tanto tu puoi cambiare solo te stesso, non hai potere sugli altri”. Ma io credo che questo concetto sia quello che ha portato tutti noi a diventare lo schifo che siamo diventati, perché in questo modo ce ne laviamo le mani, volgendo lo sguardo dall’altra parte: finché stiamo bene noi, chi se ne frega degli altri e di tutto il resto? Mah… c’è qualcosa che ad un certo punto è andato storto, forse 200 000 anni fa.

-.-

Ma le tigri come fanno?

Censuratemi la mente

È demoralizzante leggere quanto “bloccare” l’incitamento all’odio e alla violenza sui social venga ritenuto secondo molti censura. Sì, censurare l’odio in una società malata quanto la nostra, non può che diventare un crimine. Nella stessa società dove il falso viene preso per vero si inizia ad avere paura della “censura” perché poi come si potrebbero diffondere delle fake news come pillole di saggezza?!

Ci dimentichiamo comunque che i social non sono sempre esistiti e che quindi è insensato parlare di violazione del diritto alla libertà di pensiero e parola, a meno che la vita ormai non si faccia solo e interamente sui social. Siamo malati di popolarità spiccia.

Che amara tristezza.

Una sassolina

Completamente Amore

“Ti lascio il mio inno in un silenzio profondo per quando non ti viene sonno in una notte leggera.” 

Continuo a pensare e a  ripensare a chi potrebbero essere paragonati i Thegiornalisti, ma non mi viene in mente nessuno, anche se chi è più critico musicale di me, avrà sicuramente diecimila paragoni da fare.

A me Tommaso Paradiso dà speranza. In un mondo che corre all’impazzata e in cui i sentimenti sembrano essere in secondo piano, per dar spazio alle apparenze e all’essere fighi  è arrivato lui che ti mette delle cuffie in testa, ti fa salire su un motorino bianco o su una bici rossa Atala  e ti porta al mare, in una spiaggia anni 80/90, quando i sogni erano ancora tutti realizzabili. E non ha paura di cadere, perdere, parlare e quindi cantare.
Parla dell’amore più puro, anche se non corrisposto e lo fa con immagini che noi tutti abbiamo vissuto. Siamo andati tutti su e giù per le strade, con la sensazione di volare, nella vana speranza di incontrare quel qualcuno, abbiamo tutti preso il telefono e chiamato con delle scuse banali solo per sentire quella voce, noi tutti abbiamo sfrecciato una volta nella vita in macchina, sotto un lampione, senza una meta e senza una strada, con gli occhi lucidi, con una canzone specifica a farci compagnia. Noi tutti ci siamo voluti mettere su una nuvola e abbiamo detto

“la mia malinconia è tutta colpa tua!”.

Ma a parte le parole, è la musica che ti prende e ti porta via. Ti suscita qualcosa di diverso. C’è una cadenza lieve che provoca brividi e che rimanda al passato.
Sembra l’immensità di un cielo che si apre alle stelle, sembra di volare in un’infinità di ricordi che ti vengono gettati in faccia tutti insieme e questo solo grazie alla musica, non per forza alle parole. E non solo i ricordi, c’è anche il presente, perché Tommaso dà coraggio, Tommaso ti fa pensare “Sono innamorata e voglio gridarlo al mondo” come fa lui che non si vergogna ad esprimere ciò che sente. Come lui a cui ritirano la patente ma che continua a camminare felice, perso d’amore.

“Non trovo sonno, non trovo pace, sento che il cuore va più veloce. Solo così sto tanto bene, completamente. Non ho più fame, lasciami bere, baciami adesso anche se piove. Solo così sto tanto bene. Completamente!”

Una sassolina

Libri

Libri…

A volte sono lo specchio della realtà che impari a conoscere meglio, altre diventano il rifugio da una realtà troppo stretta da vivere.

Passo spesso da un libro serio ad uno più soft, per darmi il tempo di metabolizzare ciò che mi è stato presentato e per tornare a respirare, ma anche i libri leggeri possono portare con sé qualche trascico della mia esistenza.

Respirare: come si fa, quando il personaggio principale soffre di attacchi di panico, che conosci fin troppo bene? Diventa quasi impossibile. E quando invece sei in disaccordo con molte delle sue scelte? Forse il problema principale è che quelle scelte che si leggono e con cui si è tanto in disaccordo rispecchaino il tuo modo di fare.

Quante volte ci si pone di fronte ad un personaggio in maniera razionale e distaccata, cosa che non facciamo con la nostra vita! Sai che quello che sta facendo la protagonista è sbagliato, sai che lei è la protagonista e che si sta abbattendo per un non nulla, che si sta facendo delle paranoie inutili, che sta facendo delle scelte che non capisci, ma ad un tratto è chiaro: ti accanisci tanto contro di lei, sbuffi e le gridi contro “Ma sei idiota?” perché è più semplice farlo rivolta ad un libro, a qualcuno che nella realtà non esiste, ma che in fondo conosci molto bene. Sei tu per certi versi e tu, come lei, nelle stesse situazioni sbaglieresti, non guardando tutto l’insieme in maniera distaccata e neutrale, ma da dentro, dove è impossibile essere razionali. Così ti affidi a persone che non conosci del tutto, che ti farebbero del male alla prima occasione pur di salvaguardarsi, scambi alcuni sguardi per sguardi di affetto, o al contrario le preoccupazioni e le parole di altri le fraintendi, ferita in un orgoglio che nemmeno tu conosci.

Ti trascini tra la realtà e la fantasia, con mille domande in testa a cui non sai rispondere. Allora ti dici “Magari riuscissi a vedermi come mi vede lui!”

Magari riuscissi a vedermi realmente e non attraverso una corazza di paura che mi blocca l’esistenza…

Una sassolina

Fare non fare

Ho comprato un libro che è stato, per una settimana, pazientemente ad aspettare che arrivasse il suo turno.
Mi sono tagliata i capelli.
Sono uscita per conto mio come facevo un tempo.
Stamattina sono addirittura passata da KIKO a comprare una nuova matita per gli occhi e le salviette struccanti.
Sono entrata in alucni negozi, propositiva per lo shopping, ma alla fine qualsiasi cosa mi faceva letteralmente schifo.
Sono tornata a casa e ho aperto il libro che mi stava di nuovo ad aspettare, dopo averlo lasciato alle due e mezza di notte, in un punto cruciale e mi sono reimmersa in un mondo diverso dal mio.
Nonostante tutto ciò, sono qui che scrivo.
Quando le persone si trovano in una condizione moralmente bassa fanno queste cose ma per me non funziona.
Cosa dovrei fare?
Forse una lista di cose da fare.
Ma cosa?
Ieri ho comprato anche dei pennelli per disegnare, sì, per disegnare a matita perché ho notato che le sfumature vengono meglio, ma poi, tornata a casa, non ho avuto voglia nemmeno di aprire il mio album da disegno.
Ieri pomeriggio, per strada, mi è balenata l’idea della mia situazione: è come se fossi in una continua attesa di qualcosa che non succederà mai.
Penso e ripenso. A volte mi dico “Ce la farò…” ma poi aggiungo “Tra cinque minuti!” Un pò come le diete che si iniziano sempre la prossima settimana.
Sono stanca. Sono stata ferita, non pugnalata. Ma forse chi lo ha fatto aveva ragione. Un sasso non dovrebbe sentire. Io invece sento, continuo a sentire la solitudine che non vorrei, continuo a sentire lo scorrere dell’esistenza che porterà inevitabilmente alla ragione della nostra vita, la morte.
Il significato dell’esistenza è insito nello scorrere del tempo e in quello che tutti cerchiamo di evitare, nell’unica cosa che invece nessuno potrà mai evitare. E allora a che scopo? Per vivere, per vivere al meglio la nostra esistenza che prima o poi finirà. Ma come si fa a farlo al meglio?
Mi metterei in stand by e lascerei scorrere il tempo.
Se mi guardo indietro so che le cose cambieranno o per lo meno, questi stati emotivi passano, sono sempre passati. L’ho vissuto altre volte, ma sono impaziente e questa perenne ansia mi butta di nuovo giù.

Una sassolina